Prossimo obiettivo Transnistria?
Per Mosca è già guerra a tutto campo, ma tra proclami e vittorie c'è di mezzo la resistenza di un'intera nazione
Almeno a livello di dichiarazioni ufficiali, sembra che per i russi l’estensione del conflitto in corso in Ucraina sia praticamente inevitabile. A scaldare le polveri ci ha pensato il senatore Andrei Klimov, minacciando Svezia e Finlandia di finire come i combattenti asserragliati nell’acciaieria Azovstal di Mariupol, in caso di adesione alla NATO. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha poi rilanciato facendo sapere al Giappone che le isole Curili sono territorio russo e che qualsiasi processo negoziale è da considerarsi sospeso, vista “l’ostilità” di Tokyo. Ma è sulla Transnistria che si sono accese tutte le spie d’allarme, dopo che il vicecomandante della Regione militare centrale Rustam Minnekaev ha annunciato a Ekaterimburgo che la cosiddetta “operazione speciale” è ormai entrata “in una seconda fase”, i cui obiettivi principali sono non solo “il pieno controllo sul Donbass e sull’Ucraina meridionale” ma anche “un ulteriore sbocco verso la Transnistria”, dove da anni si verificherebbero - a suo dire - “casi di oppressione della popolazione di lingua russa”. Ritorna qui il leit-motiv della “protezione” dei russofoni fuori dai confini nazionali, che Putin ha ormai trasformato in una vera e propria dottrina per giustificare qualsiasi tipo di aggressione. La teoria dello spazio vitale in versione moscovita.
Ma i segnali inquietanti si susseguono. Lunedì scorso l’attacco con lanciagranate al ministero della sicurezza di Tiraspol. Ieri una doppia esplosione alle torri di telecomunicazione incaricate di trasmettere propaganda russa dalla Transnistria, seguita dalle dichiarazioni del presidente dell’autoproclamata repubblica secondo cui si tratterebbe di “attacchi terroristici condotti dall’Ucraina”, che rendono necessarie “misure di protezione del territorio”. Un linguaggio sinistramente simile a quello usato dai suoi omologhi delle repubbliche ribelli del Donbass pochi giorni prima dell’invasione russa per giustificare l’evacuazione di civili, anche in quel caso “minacciati” da una fantomatica offensiva del governo ucraino. Ma non è tutto. In concomitanza con questi eventi, i russi hanno pensato bene di far saltare un ponte di collegamento fra le due sponde dell’oblast di Odessa in direzione della frontiera rumena. Uno sviluppo che alcuni osservatori hanno interpretato come la premessa di un possibile ricongiungimento delle truppe russe di stanza in Transnistria (circa 1.500 uomini) con quelle impegnate nella annunciata conquista del Sud dell’Ucraina. La presidente della Moldavia, Maia Sandu, ha convocato una riunione d’urgenza del Consiglio di Sicurezza per affrontare la possibile escalation dei prossimi giorni/settimane.
Per riassumere, un copione che si ripete: toni minacciosi e mire espansionistiche da parte delle autorità politiche e/o militari, incidenti sospetti in territori abitati da popolazione prevalentemente russofona, accuse di terrorismo rivolte al nemico, manca solo l’esplicita richiesta di “assistenza” da parte delle autorità della Transnistria per completare il quadro di un possibile intervento nel territorio di un’altra nazione sovrana.
Che l’esercito russo sia in grado di chiudere la partita del Donbass e del Sud per poi dirigersi verso la Moldavia è tutto da vedere. Ma intanto la propaganda bellica scalda i motori facendo intravedere la possibilità di nuove azioni di forza, mentre Lavrov evoca lo spettro della Terza Guerra Mondiale e dell’olocausto nucleare in mondovisione. In grave difficoltà sul fronte ucraino, la Russia gioca quindi ancora una volta la carta della destabilizzazione, una tattica che si era dimostrata vincente fino al 24 febbraio scorso. Da allora la resistenza ucraina e la reazione occidentale hanno costretto Putin in un vicolo quasi cieco, da cui può provare a uscire solo alzando la posta in gioco. “Adesso siamo in guerra contro il mondo intero, come lo eravamo nella Grande Guerra Patriottica, quando l'intera Europa, il mondo era contro di noi. E ora è lo stesso, non hanno mai amato la Russia", ha aggiunto Minnekaev da Ekaterimburgo. Una guerra per amore.