Le due guerre di Putin
La prima è un'aggressione militare, la seconda una barbarie terrorista contro la popolazione civile
Sono due le guerre che Putin sta combattendo in Ucraina. La prima è quella del fronte sud-orientale, delle battaglie d’attrito, della famigerata sacca che non si chiude, concepita per spezzare in due il Paese invaso. La seconda è quella dei massacri di civili, sempre più frequenti e deliberati, delle stragi nelle stazioni, nei supermercati, nei viali e nelle piazze dove madri e figli passeggiano, delle università e delle scuole bombardate. La prima è una guerra d’aggressione di un esercito mandato prima a conquistare, poi a fare terra bruciata per fiaccare la resistenza dell’aggredito; la seconda è una guerra terrorista contro la popolazione civile, concepita per seminare il panico e annichilire l’Ucraina come nazione.
Dnipro e Kramatorsk sono state le ultime vittime in ordine di tempo della follia missilistica delle forze armate russe: le due città sono state colpite ieri in pieno centro. “Siamo solo all’inizio”, aveva dichiarato Putin pochi giorni fa, senza che le sue parole suscitassero il ben che minimo scandalo in un’opinione pubblica occidentale ormai assuefatta alle immagini di morte e devastazione provocate dagli invasori. Ma nella lista del terrore scatenato dai russi sull’Ucraina si accumulano da mesi nuovi obiettivi, Kremenchuk, Odessa, Mykolaiv, Vinnytsia. Qui l’ultimo bombardamento ha falciato la vita di 23 persone, tra cui una bambina di 4 anni con sindrome di Down, letteralmente spezzata a metà da un attacco su un centro culturale, partito da sottomarini di stanza nel Mar Nero.
La maggior parte degli attentati contro i civili avvengono ormai nel centro del Paese, a dimostrazione della duplice strategia descritta all’inizio. Mentre Mosca afferma ufficialmente di volersi “concentrare sul Donbass e sul Sud”, porta la guerra su tutto il territorio ucraino, dentro le case della gente, nei luoghi di ritrovo, dove si studia, si lavora, si riposa. Nessuno è al sicuro, questo è il messaggio che il regime putiniano pretende di lanciare non solo al governo di Kiev ma anche e soprattutto alle democrazie occidentali che lo sostengono. Secondo fonti ucraine (di parte, certo, ma della parte sotto attacco) il 70% dei raid russi sono stati condotti contro obiettivi non militari. Per le Nazioni Unite invece sono quasi cinquemila i civili uccisi dall’inizio della guerra, tra cui 335 bambini, e tra dieci e ventimila i crimini di guerra perpetrati dalle forze di occupazione. Ma si tratta probabilmente solo della punta dell’iceberg, dal momento che - come osserva Matteo Pugliese da Kiev - nel caso di violenze e stupri soprattutto nelle zone rurali le vittime non denunciano i fatti per pudore o timore di ritorsioni. A questo vanno aggiunti i sequestri e le deportazioni di intere famiglie in territorio russo, uno dei capitoli più sordidi di questa guerra disumana, ancora tutto da definire nelle sue dimensioni e conseguenze reali.
Secondo il Moscow Times, che ha interpellato analisti militari, la strategia del Cremlino è chiara: rallentamento delle operazioni nel Donbass per recuperare e riposizionare le truppe e contemporaneo incremento degli attacchi sulle città ucraine. La barbarie russa ad elastico, per garantire una pressione costante su governo e popolazione. Fino a quando l’Occidente si limiterà all’invio intermittente di armi all’Ucraina, che ne chiede a gran voce di più? Fino a quando Putin avrà campo sostanzialmente libero per la sua guerra terrorista? Domande scomode, a cui nessuno ha davvero intenzione di dare risposta. L’andamento dell’invasione, la deliberata ricerca di stragi di civili, l’intenzione dichiarata di distruggere la nazione ucraina richiedono ben altra determinazione da parte delle democrazie liberali e dei loro alleati: la Russia non va solo fermata ma sconfitta e messa nelle condizioni di non nuocere per decenni. Ma non succederà, a meno che Putin non commetta il clamoroso errore di attaccare direttamente un membro della NATO, provocando la risposta militare automatica e risvegliando l’indignazione in un’opinione pubblica già stanca di questa tragedia e spaventata dalle conseguenze economiche che sta causando. È sull’indifferenza e la paura che la Russia punta per disporre a piacimento della sua vittima sacrificale. Per adesso, almeno su questo fronte, ha già la vittoria in tasca.